Egregio Professor Ziccardi, leggere il suo curriculum, composto da ben 26 pagine, fa venire il capogiro!
Inoltre la sua produzione bibliografica potrebbe suscitare l’invidia di John Grisham. Mi domando quando trova il tempo di scrivere, considerati i suoi numerosi incarichi professionali. Ed inoltre, mi domando quando è nato il desiderio di condividere i suoi studi con un pubblico più ampio delle sue classi di universitari?
R. Prof. Ziccardi:
Lo scrivere mi accompagna sin dagli anni del liceo e non mi pesa, nel senso che non entra in conflitto mai con gli impegni istituzionali e professionali e, anzi, è una costante che va al di là delle questioni contingenti. Mi piace molto diversificare, in ciò che scrivo, spaziando dalle opere scientifiche in italiano e in inglese alla fiction, dalla saggistica più divulgativa a brevi articoli ed editoriali per quotidiani e settimanali. Ciò mi consente di raggiungere lettori di diversa estrazione con un approccio per molti versi “pop” e di contaminazione che però ha sempre caratterizzato, se ci pensiamo bene, l’ambito tecnologico. Oggi la tecnologia è stimolo per grandi teorie scientifiche in tutti i campi, non solo quello giuridico, ma è anche strumento e ritrovato che interessa la gente comune, magari non esperta né di diritto né di informatica. Temi quali la privacy e l’intimità, i nuovi modi di comunicare e di comportarsi in rete, le abitudini d’acquisto online sono oggi d’interesse vastissimo, e non solo dei tecnici. Affrontare i temi a me cari, soprattutto quelli correlati alla privacy, alla criminalità informatica e ai diritti di libertà, da ogni prospettiva e sotto tutti gli aspetti, compresi quelli apparentemente più banali, consente comunque una maggiore apertura e comprensione dell’essenza dei problemi.
In sintesi, cos’è l’informatica giuridica? E che cosa ha suscitato in lei questo interesse per tale materia?
R.: Non esiste più, probabilmente, UNA informatica giuridica ma la complessità della attuale società tecnologica ha connotato e specificato molti aspetti nuovi che stanno disegnando un panorama completamente originale. Io penso all’informatica giuridica come all’utilizzo fruttuoso dell’informatica da parte del mondo del diritto, in tutti i suoi ambiti. Quando l’informatica entra in contatto col diritto e con il suo mondo, anche burocratico e istituzionale, lì entra in gioco l’informatica giuridica. Operando nel settore ormai da più di vent’anni, sono ovviamente legato ai temi delle origini, che secondo me anche nell’era di Internet sono estremamente attuali. Penso al mondo delle banche dati giuridiche e di questa idea di poter “racchiudere” il sapere giuridico all’interno di un server, o all’uso di strumenti tecnologici per migliorare in concreto l’attività quotidiana del professionista del diritto. Al contempo, però, mi affascinano i temi che trattano del delicato rapporto tra i diritti di libertà e le tecnologie, argomenti che sono cari ai giuristi sin dai primi studi. L’interesse mi è nato quando mi fu regalato, nel 1984, il primo computer, e da allora non ho mai smesso di interessarmi anche al lato tecnico delle questioni. L’avvento di Internet, dicevo, ha disegnato un quadro nuovo, non solo come incredibili potenzialità informative ma anche con riferimento ai comportamenti del giurista, e si sono aperte nuove frontiere di ricerca di incredibile interesse: si pensi agli archivi istituzionali di norme, all’intelligenza artificiale applicata alle tecniche di ricerca, ai nuovi delicati rapporti tra deontologia e presenza in rete dell’avvocato.
Informatica e avvocati: un binomio alquanto improbabile. Una classe di professionisti che solo ora, in virtù dell’obbligo dei depositi telematici (30 giugno 2014), si è avvicinata spesso malvolentieri allo strumento informatico secondo lei come valuta la necessità di salvaguardare tale strumento da attacchi informatici?
R.: Io non penso che vi sia una ostilità per così dire “genetica” e preconcetta nella classe dell’avvocatura nei confronti dell’informatica, quantomeno tra gli avvocati della mia generazione e delle generazioni più giovani. Ci sono avvocati che in tutta Italia da anni stanno cercando di fare formazione, di redigere manuali operativi gratuiti, di fornire ai colleghi più informazioni possibili per permettere una comprensione reale e fruttuosa dello strumento tecnologico. Forse manca, come in altri ambienti aziendali, una vera e propria cultura della sicurezza, intesa come protezione dei dati propri, dei clienti e dei colleghi. I problemi io li noto quando è il sistema che è complesso, farraginoso e “ostile”, quando in realtà ogni piattaforma dovrebbe essere la più semplice e immediata possibile e anche gli operatori dovrebbero essere tenuti “immuni” da questioni tecniche. Gli avvocati non sono informatici, e la semplificazione ed efficienza dei servizi sono le due chiavi che possono consentire un successo delle iniziative. Più un servizio si utilizza, più è idoneo a far comprendere all’avvocato il vantaggio in termini di rapidità, sicurezza, immediatezza, risparmio di tempo e di denaro. Ma già il primo passo per “entrare nel sistema” deve essere immediato, intuitivo e poco traumatico. Per consentire, poi, un percorso in discesa e non, invece, un percorso fatto di problemi tecnici e interpretativi.
Lei quest’anno ha pubblicato tre opere molto importanti per il giurista “telematico”. Con l’evoluzione del tipo di lavoro svolto dal professionista, stiamo assistendo ad un passaggio generazionale a cui ancora pochi si son adeguati. In particolare mi riferisco alla sua opera “Il computer e il giurista. Ricerca giuridica e banche dati – Redazione di atti e scrittura automatizzata – Protezione del dato e privacy personale e professionale – Posta elettronica certificata e processo civile telematico – Presenza del giurista sul web, sui social network e regole deontologiche.” (2015 Giuffrè editore). A quali conclusioni, se può anticiparlo, è giunto con la sua ricerca in questo libro?
R.: Raggiungere conclusioni nel mio ambito è un po’ come prevedere il tempo in montagna: è già complesso prevedere il presente. Più che conclusioni, nelle mie opere cerco di fornire un quadro critico e aggiornato di tutti i cambiamenti che ormai a cadenza mensile occorrono nel mio ambito di studio. Sicuramente i temi della privacy e delle nuove modalità di invasione dell’intimità delle persone sono quelli che stanno interessando maggiormente gli studiosi di tutto il mondo, e anche in Italia l’attenzione è molto alta. Si pensi all’Internet delle cose e ai droni, per fare due esempi su tutti. Anche, però, il puro lato tecnico, ossia quali possano essere le tecnologie idonee a migliorare la vita del giurista, è di grande utilità. Ai miei studenti spiego come usare i sistemi di cifratura, di navigazione anonima, di cancellazione sicura dei dati, di recupero delle informazioni cancellate, le basi della sicurezza e tanti altri aspetti che comunque nella vita professionale quotidiana possono rivelarsi fondamentali.
In questa era della libera fruizione delle risorse informatiche (si parla spesso di supermercato del web) e della contemporanea crisi economica che affligge il nostro Paese, mi colpisce la sua attenzione verso la ricerca giuridica effettuata con strumenti professionali, banche dati specializzate. Ritiene pericoloso fruire delle informazioni trovate su portali giuridici o addirittura su Google?
R.: No, no, assolutamente. Il mio interesse è equamente distribuito tra contenuti gratuiti e contenuti a pagamento, contenuti professionali e contenuti per così dire “amatoriali”. Ho sempre un approccio molto neutro, in queste cose, come con i sistemi operativi. Mi piace però notare i punti di forza e di debolezza di ciascun sistema. Le banche dati a pagamento, dalle prime che arrivarono in Italia e che ancora ricordo su dischetti, hanno avuto un’evoluzione incredibile e si stanno sempre più avvicinando ai potenti strumenti e algoritmi di ricerca di un Google. D’altro canto, la diffusione di movimenti per l’accesso libero all’informazione giuridica, la “liberazione” di alcune banche di dati e i contenuti giuridici sul web permettono un approfondimento costante anche nel panorama “libero”. Non vedo i due “mondi” alternativi, entrambi sono in grado di fornire valori aggiunti.
Come prevede che evolverà la figura dell’avvocato in relazione alle innovazioni tecnologiche, che vanno sempre più caratterizzando tale professione? Si adeguerà o farà ancora resistenza?
R.: Secondo me si dovrà per forza adeguare, ma lo farò soltanto quando comprenderà realmente che l’informatica può migliorare in maniera tangibile il suo lavoro e l’economia del suo lavoro. L’avvocato ha giustamente un approccio pratico, e lo deve avere, visto che si trova a dover gestire un’attività in tempo di crisi. Vuole, allora, che la tecnologia gli dia qualcosa, in termini di risparmio di tempo, di risparmio di costi, di vantaggio competitivo, di servizi nuovi da offrire ai clienti, di sicurezza, di comodità, di velocità delle operazioni, di riduzione della mobilità e dei tempi morti, e così via. Quando comprenderà i vantaggi, e non gli intoppi, che può dare un uso responsabile ed accorto delle tecnologie, eliminerà ogni dubbio.