
Nostalgia
#life
Sono stata lontana per un po’ dalle pagine del mio blog.
Non per disinteresse, ma per via di impegni che mi hanno assorbita altrove — in altre dimensioni del quotidiano, tra professione e vita privata. Eppure oggi sento il bisogno, quasi fisico, di scrivere. Di mettere nero su bianco una riflessione che mi tormenta da tempo.
Da anni assisto a una regressione, lenta ma costante, di certi comportamenti online che, fino a poco tempo fa, tendevo a ignorare. Ora, invece, non riesco più a farlo. È come se un rumore di fondo, una distorsione continua, fosse diventata finalmente nitida. E insopportabile.
Poco fa stavo scorrendo alcune pagine su Facebook: gruppi musicali, discussioni su cinema, attualità, politica. Insomma, una panoramica eterogenea. Eppure un tratto comune emergeva con prepotenza: il linguaggio. Anzi, la violenza del linguaggio. Commenti impregnati di aggressività gratuita, intolleranza ostentata, arroganza, odio. Un odio quasi meccanico, privo di pensiero, come se la tastiera fosse diventata un’arma per frustrazioni forse mai elaborate.
Ho intitolato questo articolo “Nostalgia” proprio perché, dopo aver letto quei commenti, mi sono ritrovata a fare un salto nel passato.
Un passato digitale che è anche, inevitabilmente, personale.
Sono tornata con la mente a quando mi affacciavo da neofita in quel mondo che sarebbe poi diventato una parte importante della mia vita, tra lavoro e svago.
La rete dei pionieri
Erano gli anni ’90.
Anni in cui la connessione a Internet costava una fortuna e viaggiare online era un’esperienza simile a una spedizione artica: lenta, incerta, rumorosa.
Ricordo perfettamente il suono del modem 56K — un lamento metallico e stridente — che di notte coprivo con un cuscino per non svegliare tutta la casa.
A quell’epoca, la rete era un territorio quasi mitologico: ci si muoveva a tentoni, cliccando su link colorati che ti portavano altrove, come portali magici in universi sconosciuti.
Da appassionata di musica, la mia missione su Internet era una sola: accedere all’universo musicale mondiale!
Negli anni ’90 il costo dei CD era lievitato enormemente, così avevo adottato il metodo del noleggio e del riversamento degli album dei miei gruppi preferiti su cassetta, con tutti gli imprevisti del caso (nastri incastrati, qualità discutibile, suoni ovattati…).
Quando sentii parlare di Napster, fu per me una rivelazione.
La possibilità di avere a disposizione tutta la musica del mondo, in formato digitale, a portata di clic, sembrava un sogno. E come molti, mi ci tuffai senza esitazioni.


Dall’“avere” al “conoscere”
Fino ai primi anni Duemila, il mio obiettivo online era chiaro: acquisire, di tutto, di più.
Musica, film, articoli di magazine inglesi e americani.
Internet era un grande magazzino dell’altrove. Poi qualcosa cambiò: emerse la curiosità di sapere chi c’era dall’altra parte dello schermo.
Dopo un breve flirt con mIRC (inutile dire che i canali musicali erano la mia casa), approdai su ICQ. Ricordo ancora la scarica di adrenalina per ogni “uh-oh” che annunciava un nuovo messaggio da parte di uno/a sconosciuto/a collocato territorialmente chissà dove. Le conversazioni erano lente — i modem ISDN avevano preso il posto dei 56K, ma non si correva certo — eppure ricche, autentiche. Con alcuni utenti ci si scambiava rarità musicali, bootleg introvabili, demo di artisti emergenti che provavano a farsi conoscere ben prima dell’era dei talent.
La scoperta del conflitto
Non tutto era rose e fiori, ovviamente.
Fu proprio in quegli anni che imparai cosa fosse un flame, quella strana forma di litigio online in cui la discussione degenera e si trasforma in uno scontro sterile, spesso violento. Il fastidio di leggere attacchi personali, l’impotenza nel non sapere chi c’era dietro quelle parole, la frustrazione di vedere un dialogo ridursi in cenere.
Successivamente, quando iniziai a moderare alcuni forum, compresi anche l’altra faccia della medaglia: far rispettare le regole. Regole chiare, condivise, pubbliche. C’erano i ban, sì, ma anche il senso di responsabilità di garantire uno spazio sano. Un luogo virtuale dove si potesse discutere, dissentire, costruire. Dove l’altro non era un bersaglio, ma un interlocutore.
E oggi?
Oggi tutto sembra più acceso, più rapido, più superficiale.
Le parole non hanno più il tempo di essere pensate: vengono lanciate, urlate, digitate in preda a un impulso.
Il confronto cede il passo alla provocazione.
L’insulto sostituisce l’argomentazione.
E la rete, che un tempo mi appariva come un’orchestra sinfonica di connessioni, oggi spesso suona come un coro dissonante di urla.
Forse è proprio per questo che sento nostalgia.
Nostalgia non solo dei modem rumorosi o dei CD noleggiati, ma di un tempo in cui la rete era anche un luogo di scoperta e di cura. Dove ci si ascoltava di più, e si scriveva — persino si litigava — con maggiore attenzione.
Non è idealizzazione: c’erano problemi anche allora, ma si aveva la sensazione che ci fosse ancora un’etica dell’interazione. Una grammatica del rispetto, pur nella libertà.
Non è un inno al passato, il mio.
È un invito alla memoria.
A ricordare che ogni spazio digitale, per quanto vasto o anonimo, è abitato da persone.
E che ogni parola, anche online, ha un peso.
Ha un suono.
Ha una responsabilità.
Ritroviamola, questa grammatica perduta.
Anche solo per restituire alla rete un po’ della bellezza che, un tempo, sapeva offrirci.